Un piatto di pane
“Io mi chiamo Anna e tu?” “E io Enzo”. Una fotografia è un incontro,
allora è bello intrecciare un sorriso sopra un lastricato coi segni di
una civiltà antica. Sorrisi raccolti e sparsi per le strade verolane
come in solchi di pietra; e piazze, feste, riti, fontane, zampilli e
Chiara, che ti dona la sua gaiezza come un fiore.
Veroli è una storia lunga vent’anni; allora ho fatto in tempo a vedere Santino coi piedi nel solco d’una terra appena dischiusa dalla cuspide d’un aratro, dentro un impasto di zolle e sassi, quelli che fanno di crosta il pane, e colare la bava dal muso alle zampe a due vacche appaiate al giogo.
Qui a Veroli, il lavoro degli orti e degli animali te lo trovi su una tavola apparecchiata e in un piatto in più per te. Mentre la cultura del lavoro e dei suoi strumenti, apparecchia le sale di un museo; se c’è un posto per le cose, c’è un posto per la memoria. E la curiosità di quel bimbo con la palla sotto il braccio al museo contadino, forse saprà portare più saperi, quelli dei libri e quelli dei nonni.
“Prima era bello, se balleva, se canteva, s’era proprio contadini”. Giovanna tiene vicino il rosario, la sua preghiera è in due mani a riconoscere i granuli buoni, quelli che saranno seme per la terra, poi frutto, poi il fiorire d’un piatto di pane. Lì l’altare è il grano in un grembo di mani, mani solenni che non si prendono più di quello che il seminato dà. Assunta mi offre sempre la sua fragranza di pane profumato di campi di grano, di acqua di sorgente, di lievito e di brace; e la processione della Madonna vede ancora mani devote a spargere petali di rosa. Ho visto un vecchio col berretto in mano, bianca testa chinata, capelli giù; è posa di statua, devozione non trattenuta, non esibita, è più d’una facciata di cattedrale, delle candele, del canto delle donne, dei petali di rosa.
Una giacchetta appesa al muro, un cane che abbaia alla finestra, delle galline fiere, e la vite a fare la pergola; nelle reliquie dei ricordi le immagini si accavallano, quelle della terra e quelle delle stelle sì, quasi sempre.
Vorrei che ogni verolano potesse riconoscersi nelle pagine di questo libro come nel proprio album di famiglia, certamente un po’ anche il mio.
Enzo Cei