L’altra faccia della terra
Ci misi anni a trovare il coraggio per oltrepassare a colpi di cuore quel cancello di Maggiano; prima c’erano rinchiusi un migliaio di malati di mente. Ma passare per anni davanti all’ex manicomio e non riuscire a fermarsi è arretrare di fronte al proprio disagio, senza una via di fuga. Poi seppi di una festa per “loro”, e in quello stanzone col fumo per cielo, presi contatto con l’altra faccia della terra; furono sembianze d’un turbamento modellate da cinta di mura, furono volti, colli, pance, gobbe, passi, visti solo lì, in un’orgia di sigarette tra due dita di fuliggine. Disarmato di difese, lo sguardo mi s’attaccò dove poteva: il viso gentile d’un dottore, il garbo di un’infermiera, il fare che non etichettava dei ragazzi volontari. Erano affetti che vedevo toccarsi, ed io lì, senza un’ordine, a guardar solo.
Per anni troverò E. e U. a fumare seduti su una panchina nella penombra d’una chiostra antica. E., abbandonato da piccolo nel reparto dei bambini, è quasi cieco, allora U., appena mi vede arrivare, glielo dice piano, perché lui possa chiamarmi come chi vede, con la sua voce rauca allevata dentro un impasto di innocenza, inferriate e fumo.